Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - RIPARTI

Ripartizione di attivo con causa pendente

  • Alessandro Santececchi

    Roma
    01/09/2022 10:22

    Ripartizione di attivo con causa pendente

    Buongiorno, sono il curatore di un fallimento che al momento dispone di un discreto attivo.
    Il fallimento si è costituito, previo consulto con il Giudice Delegato pro tempore, quale convenuto in un procedimento penale ai sensi degli artt. 5 e 25-septies, comma 3, Dlgs 231/2001, che interessa in via diretta l'ex amministratore unico della fallita coinvolto, insieme ad altri, in una vicenda che ha visto un ex dipendente della società seriamente coinvolto in un infortunio sul lavoro (le cui responsabilità dirette sembra siano da attribuire proprio all'ex amministratore unico ed ai suoi collaboratori).
    Sulla base dei chiarimenti forniti dal legale, l'obiettivo del fallimento è ora quello di limitare al massimo il coinvolgimento della società poi fallita nella vicenda appena menzionata, restando difficile ipotizzare un assolvimento in toto della stessa nell'ambito del procedimento penale in corso di svolgimento.
    Sulla base di tali premesse vi chiedo:
    1) ipotizzando dunque molto probabile che il fallimento venga giudicato corresponsabile nella vicenda sopra esposta e condannato quindi in sede penale, qualora parte attrice (l'ex dipendente della società poi fallita) fosse intenzionato ad ottenere un ristoro in termini economici nei confronti della società, quest'ultima sarebbe costretta ad incardinare una causa civile nei confronti del fallimento e successivamente, ottenuta la condanna di quest'ultimo anche in sede civile, proporre domanda di ammissione nel passivo fallimentare? Che natura avrebbe il relativo credito (privilegiato o chirografario)? Lo stesso sarebbe dunque ammissibile?

    2) E' necessario che il curatore attenda il completarsi di tutto l'iter giudiziario (sia in sede penale che in sede civile), oltre alla presentazione da parte dell'ex dipendente della società della richiesta di ammissione nel passivo del fallimento, per poter procedere alla ripartizione dell'attivo al momento disponibile? Oppure il curatore può liberamente distribuire le somme al momento recuperate e procedere addirittura (considerati i tempi particolarmente lunghi per il completamento di tutte le fasi processuali sopra specificate) alla chiusura della procedura, disinteressandosi della causa menzionata?

    3) Qualora il curatore procedesse alla predetta ripartizione di tutto l'attivo disponibile, potrebbe in qualche modo essere considerato responsabile nei confronti dell'ex dipendente della società?
    Il curatore avrebbe per caso l'onere di accantonare una somma (difficilmente quantificabile) per tenere conto delle ragioni creditorie di quest'ultimo?

    Ringrazio in anticipo per le risposte che vorrete darmi.
    • Zucchetti SG

      Vicenza
      02/09/2022 19:03

      RE: Ripartizione di attivo con causa pendente

      Premesso che, a norma dell'art. 5 del d.lgs n. 231 del 2001 la società è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente ecc., è chiaro che l'eventuale condanna dell'ex amministratore e del suo staff comporterà la condanna al risarcimento anche a carico della società. E' molto probabile che il giudice oenale non disponga la condanna della società al pagamento di una determinata somma di denaro, in favore del lavoratore danneggiato, ma emetta una condanna generica, quale conseguenza della affermata responsabilità in base alla legge citata. A questo punto il lavoratore non avrà bisogno di adire il giudice ordinario per la quantificazione del danno, ma, se intende partecipare al concorso sui beni della società fallita, dovrà insinuarsi al passivo del fallimento e quantificare il danno in quella sede.
      Il credito in questione ha, a nostro avviso, natura concorsuale e non prededucibile in quanto trova la sua fonte in eventi accaduti prima della dichiarazione di fallimento della società e, data la limitazione del privilegio di cui all'art. 2768 c.c. e, a meno che la società non avesse una assicurazione per la responsabilità civile agli effetti di cui all'art. 2767 c.c., il credito in questione sarà considerato in chirografo.
      Fatto questo sintetico inquadramento, veniamo ora alla parte più delicata della domanda, che riguarda il comportamento del curatore. Il dato rilevante è che il creditore lavoratore non ha formulato alcuna domanda di insinuazione al passivo, neanche in via di ammissione con riservata; domanda che avrebbe potuto proporre in quanto, come precisa , come precisa la Cassazione (Cass. 13/02/2020, n.3683) "Nel caso in cui la parte offesa da un reato chieda l'ammissione al passivo del fallimento del soggetto che può essere chiamato a rispondere civilmente per il fatto dell'imputato, al fine di conseguire l'ammissione al passivo in via privilegiata del credito per il risarcimento del danno patito occorre che essa provi: a) l'esistenza di un processo penale in corso; b) che il soggetto dichiarato fallito era legato all'imputato in detto processo da un rapporto che lo rende civilmente responsabile per il fatto dell'imputato; c) che il soggetto vittima del reato si è costituito parte civile e che il soggetto, poi dichiarato fallito, è stato convenuto nel processo penale in qualità di responsabile civile; d) che è intervenuto nel processo penale il sequestro dei beni del responsabile civile" (requisito quest'ultimo richiesto per l'ammissione in privilegio ex art. 2768 c.c.).
      Stante questa situazione, il curatore è libero di procedere alla ripartizione dell'attivo disponibile, senza bisogno di accantonamenti non ricorrendo una delle ipotesi di cui all'art. 113, se non l'accantonamento generico previsto dal primo comma di detto articolo; con possibilità anche di chiudere il fallimento, sempre che il lavoratore non assuma alcuna iniziativa di partecipazione al fallimento, essendo giurisprudenza pacifica che la stessa presenza di domanda tardive non preclude al curatore la chiusura del fallimento, salvo che quella domanda non possa trovare una utile collocazione sull'attivo.
      Se si condividono queste considerazioni, l'iter indicato è ineccepibile e, alle condizioni dette, nessuna responsabilità potrà configurarsi a carico del curatore che, nel suo operare, non può tenere conto di crediti non azionati, neanche con una richiesta di ammissione al passivo con riserva. Tuttavia rimane il fatto che i riparti effettuati sono intangibili ai sensi dell'art. 114 l. fall. e che il curatore comunque è a conoscenza dell'esistenza di un potenziale credito che, seguendo la via indicata, correrà il rischio di rimanere insoddisfatto. Sarebbe opportuno, pertanto, concordare con il giudice delegato la linea da seguire- se quella rigorosa o quella più attendista e sostanziale- e comunque, se si decide per la prima, far presente nel progetto di riparto l'esistenza del procedimento penale in corso e la mancanza di qualsiasi domanda da parte del potenziale creditore.
      Zucchetti SG srl
      • Alessandro Santececchi

        Roma
        05/09/2022 11:24

        RE: RE: Ripartizione di attivo con causa pendente

        Buongiorno, in risposta al Vostro precedente commento, ci tengo a precisare che in realtà il lavoratore sopra indicato ha presentato a suo tempo istanza di ammissione tempestiva la quale però è stata accolta solamente per la parte relativa alle spettanze dovute per TFR. La restante parte che lo stesso ex dipendente aveva richiesto con medesima istanza di ammissione tempestiva relativa al risarcimento per infortunio sul posto di lavoro è stata viceversa esclusa in fase di ammissione in quanto in tale sede era stata considerata sfornita di prova opponibile al fallimento (la parte attrice infatti quantificava il danno per invalidità permanente, oltre al danno morale, allegando certificati medici, calcoli del danno e quant'altro senza però avere a proprio sostegno alcuna sentenza del Tribunale, essendo la causa penale, come accennato, ancora pendente e non definitiva). Si precisa inoltre che la domanda di ammissione tempestiva di cui sopra non richiedeva l'ammissione del citato danno per invalidità permanente con riserva (cioè in attesa della definizione della causa pendente in sede penale ai sensi dell'art. 113 della legge fallimentare), ma si limitava a richiedere l'ammissione subito (e come detto in tale sede fu escluso tale parte del credito).
        Stando così le cose:
        1) confermate per il curatore la possibilità di procedere alla ripartizione dell'attivo (in toto) e successivamente alla chiusura della procedura?
        2) con riferimento alla causa al momento pendente in sede penale, qualora si voglia procedere alla ripartizione dell'attivo ed alla chiusura del fallimento, presumo che la gestione della stessa sarebbe poi assegnata dal Tribunale, d'ufficio, ad altro legale (una volta revocato l'incarico al legale del fallimento). Continuando la causa con altro legale (sempre in rappresentanza della società) come si concluderebbe l'ter processuale? La causa penale proseguirebbe solo nei confronti dell'ex amministratore e collaboratori oppure anche nei confronti della società (in realtà però quest'ultima non esisterebbe più) dopo la chiusura e cancellazione della stessa dal Registro delle Imprese?
        3) Sarebbe possibile per l'ex dipendente, a giudizio penale concluso, riproporre domanda di ammissione al passivo del fallimento del medesimo credito già escluso in sede di domanda di ammissione tempestiva per infortunio sul lavoro, questa volta disponendo del giudizio finale con sentenza favorevole?
        Vi ringrazio in anticipo per le risposte che vorrete darmi.
        • Zucchetti SG

          Vicenza
          05/09/2022 18:13

          RE: RE: RE: Ripartizione di attivo con causa pendente

          Confermiamo quanto detto nella risposta precedente, a maggior ragione in quanto il lavoratore si è già insinuato al passivo per la voce di danno da infortunio e la domanda è stata respinta, senza che fosse proposta opposizione, per cui (in risposta anche al quesito sub 3) è precluso un riesame della stessa domanda in quanto il rigetto per mancanza di prova del credito è una decisione di merito. Né il dipendente potrebbe addurre, a seguito del giudizio penale, le nuove prove che erano state ritenute mancanti in occasione del primo esame perché, per fare questo, avrebbe dovuto proporre opposizione e poi, eventualmente chiedere la sospensione del giudizio di opposizione, per la pregiudizialità di quello penale.
          Quanto al quesito sub 2, nel momento in cui il fallimento revoca il mandato al legale e viene chiuso, quello che accade dopo non interessa più il fallimento, ma la società che ritorna in bonis. E' vero che, con la chiusura del fallimento, il curatore chiede la cancellazione della società dal registro delle imprese, ma questo è un problema che interesserà i rapporti tra società e soci.
          Zucchetti SG srl
    • Diego Moscato

      MILANO
      19/11/2022 19:48

      RE: Ripartizione di attivo con causa pendente

      Intervengo sul tema del Fallimento coinvolgente società che, alla data di Fallimento, risultava convenuta quale responsabile dell'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, 9, 24 co. l d.lgs. 231/2001 scaturente da fatti commessi dall'amministratore ante procedura.
      La sentenza del giudice penale ha condannato la società, quale responsabile amministrativo, al pagamento di una sanzione amministrativa di xxx euro e, inoltre, ha ordinato, in danno alla medesima, la confisca del profitto del reato per equivalente nei limiti di yyy euro.
      Posto che la sanzione amministrativa dovrebbe essere insinuata al passivo come credito ante procedura; mi domando come si atteggia e incide rispetto al patrimonio fallimentare l'ordinanza di confisca: deve parimenti essere verificata dal GD tramite insinuazione al passivo o andrebbe qualificata come credito "post fallimentare" e, in entrambi i casi, con quale rango?
      Ringrazio per il vostro autorevole contributo.
      • Diego Moscato

        MILANO
        28/11/2022 19:46

        RE: RE: Ripartizione di attivo con causa pendente

        POSSO CONTARE SU UNA VS RISPOSTA? GRAZIE
      • Zucchetti SG

        01/12/2022 18:04

        RE: RE: Ripartizione di attivo con causa pendente

        La questione prospettata è spinosa.
        Partiamo da alcuni punti fermi.
        L'art. 55 del Codice antimafia (D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159) prevede che:
        1) il sequestro determina il divieto di procedere in via esecutiva se l'esecuzione non è ancora iniziata;
        2) il sequestro determina il divieto di proseguire l'azione esecutiva se questa è già stata promossa;
        3) la confisca - che implica l'acquisizione del bene libero da oneri e pesi (cfr. art. 45, Codice antimafia) - determina la estinzione della procedura esecutiva pendente;
        La disciplina appena sintetizzata si applica, a seguito della riforma attuata con l. n. 161 del 2017, anche ai sequestri ed alle confische ex art. 240-bis c.p. (art. 12-sexies, d.l. n. 306 del 1992, convertito in l. n. 356/1992), pur nella diversità delle misure ivi disciplinate; diversità ontologica che, prima della riforma, aveva portato la giurisprudenza a dividersi in relazione al se il citato art. 55 Codice antimafia, fosse applicabile o meno in via analogica (In senso affermativo, tra le altre Cass. pen., 20-5-2014, n. 26527; in senso negativo v. tra le altre Cass., 12-2-2014). Il legislatore della riforma del 2017, sopra indicata, ha equiparato le fattispecie qui in considerazione a quelle soggette alla disciplina del Codice antimafia.
        La cassazione civile, con la sentenza 10/12/2020, n. 28242, ha affermato che "La speciale disciplina dettata dall'art. 55 del d.lgs. n. 159 del 2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), come modificata dalla l. n. 161 del 2017, è applicabile esclusivamente alle ipotesi di confisca ivi previste o da norme che esplicitamente vi rinviano (come l'art. 104 bis disp. att. c.p.p.), con conseguente prevalenza dell'istituto penalistico sui diritti reali dei terzi che, solo se di buona fede, possono vedere tutelate le loro ragioni in sede di procedimento di prevenzione o di esecuzione penale; viceversa, la predetta disciplina non è suscettibile di applicazione analogica a tipologie di confisca diverse, per le quali, nei rapporti con le procedure esecutive civili, vige il principio generale della successione temporale delle formalità nei pubblici registri, sicché, ai sensi dell'art. 2915 c.c., l'opponibilità del vincolo penale al terzo acquirente in executivis dipende dalla trascrizione del sequestro (ex art. 104 disp. att. c.p.p.) che, se successiva all'acquisto, impedisce la posteriore confisca del bene acquisito dal terzo "pleno iure".
        Ciò posto, il problema è quello di individuare compiutamente l'ambito applicativo della disciplina dettata dal codice antimafia.
        Di questo compito si è fatta carico la terza sezione penale della Corte di cassazione, che con la sentenza 15/12/2020, n. 39201 ha ritenuto (nell'ambito di un processo in cui la confisca era stata pronunciata in conseguenza della condanna per reati tributari) che il codice antimafia sia applica anche alle confische previste da altre disposizioni di legge.
        Questa pronuncia giunge a tale conclusione all'esito di una articolata ricostruzione del dato normativo, che parte dall'art. 104-bis disp. att. c.p.p. il cui comma 1-quater, per effetto di plurime modifiche, stabilisce che «ai casi di sequestro e confisca in casi particolari previsti dall'art. 240-bis del codice penale o dalle altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano, nonché agli altri casi di sequestro e condisca di beni adottati in procedimenti relativi ai delitti di cui all'art. 51 comma 3-bis del codice, si applicano le disposizioni del titolo IV del Libro I del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Si applicano inoltre le disposizioni previste dal medesimo decreto legislativo in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati e di esecuzione del sequestro. In tali casi l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata coadiuva l'autorità giudiziaria nell'amministrazione e nella custodia dei beni sequestrati, fino al provvedimento di confisca emesso dalla Corte di appello e, successivamente a tale provvedimento, amministra i beni medesimi secondo le modalità previste dal citato decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alla restituzione e al risarcimento del danno».
        Ancora, il comma 1-sexies della medesima norma sancisce che le disposizioni dei commi 1-quater e 1-quinquies si applicano anche al caso indicato dall'art. 578-bis del codice.
        Tale ultima norma, anch'essa da ultimo novellata nel 2019, stabilisce che «quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'art. 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall'art. 322-ter del codice penale, il giudice d'appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato».
        Dal combinato disposto dell'art. 104-bis, comma 1-quater e 1-sexies, disp. att. c.p.p. e dell'art. 578-bis c.p.p. può ricavarsi, secondo l'approdo cui è giunta la Cassazione penale, che i casi di rinvio al Codice antimafia sono: quelli in cui la confisca sia disposta ai sensi dell'art. 240-bis c.p. o in base ad altre norme che a questa rinviano; la confisca e il sequestro disposti nell'ambito dei procedimenti per i reati di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.; la confisca disposta ai sensi dell'art. 322-ter c.p. oppure prevista da altre disposizioni di legge.
        Dunque proprio il rinvio alle "altre disposizioni di legge" ha portato la Cassazione penale a ritenere che le disposizioni in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal codice antimafia si applicano anche alle confische previste da fonti normative collocate (come quella contemplata nella domanda) al di fuori del codice penale.
        Orbene, venendo al caso di specie, osserviamo che in materia di responsabilità amministrativa degli enti, nessuna delle due ipotesi di confisca contemplate dal d.lgs 231/2001 rispettivamente agli artt. 6 e 19 fanno riferimento all'art. 240-bis c.p., (come invece accade, ad esempio, a proposito dei reati tributari, dove la confisca a norma dell'art. 240-bis c.p. è esplicitamente indicata dall'art. 12-ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74) con la conseguenza che la disciplina del codice antimafia, che marca la prevalenza della misura ablatoria penale sul pignoramento (e quindi anche sul fallimento) può essere, a nostro avviso, applicata.
        Osserviamo inoltre che alla conclusione qui rassegnata può giungersi anche attraverso il diverso percorso argomentativo seguito da quella giurisprudenza penale (da ultimo rappresentata da Cass., sez. II, 19/05/2022, n. 19682) la quale ha affermato che la particolare condizione in cui versa il patrimonio del fallito a seguito della dichiarazione di fallimento (sottratto alla disponibilità del fallito e destinato ad essere gestito dal curatore un funzione della tutela del ceto creditorio) esclude che su esso possa essere operato un sequestro, e quindi la confisca.
        Questo orientamento, tuttavia, non è pacifico, registrandosi il contrario avviso di quella giurisprudenza penale secondo cui il rapporto tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro, avente ad oggetto un bene di cui sia obbligatoria la confisca, deve essere risolto a favore della seconda misura, prevalendo sull'interesse dei creditori l'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente "pericoloso", in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato (Cass. 30/10/2019, n. 52060; negli stessi termini, con riferimento alla confisca per equivalente, Cass. 01/03/2016, n. 23907).