Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - VARIE

Revocatoria tra fallimenti

  • Ermanno Forcucci

    Passignano sul Trasimeno (PG)
    08/12/2018 11:32

    Revocatoria tra fallimenti

    Spett.le redazione
    mi trovo nella seguente situazione:
    Società X vende un complesso immobiliare a Y.
    La società X fallisce ed il curatore promuove azione revocatoria ai sensi e per gli effetti del combinato disposto art.66 L.F. e art.2901 c.c. nei confronti di Y.
    Fallisce anche Y e vengo nominato io curatore e il collega curatore di X riassume il giudizio (sui beni immobili pertanto la domanda di revocatoria è trascritta prima della sentenza di fallimento). I beni immobili vengono nelle more del giudizio locati.
    Qualora il fallimento Y sia soccombente al giudizio di revocatoria, visto che l'azione revocatoria ha come effetto quello di dichiarare l'inefficacia relativa dell'atto di alienazione per cui quest'ultimo non può essere opposto al solo creditore che ha agito, mi chiedo:
    1) chi debba vendere il bene (è il fallimento Y a vendere il bene retrocedendo l'incasso al fallimento X oppure deve provvedere direttamente il fallimento X)
    2) se i canoni di locazione debbano essere retrocessi dal fallimento Y a X
    Grazie mille
    • Zucchetti SG

      Vicenza
      09/12/2018 19:56

      RE: Revocatoria tra fallimenti


      Cass. 25/01/2018, n. 1894, trovandosi a decidere su un caso in cui una procedura fallimentare aveva azionata nei confronti di un'altra procedura una revocatoria ordinaria per sentire dichiarare l'inefficacia di una compravendita immobiliare conclusa a prezzo assunto vile, ha ripercorso le problematiche collegate alle revocatorie tra procedure fallimentari rilevando:
      a-che è pacifico in giurisprudenza il principio che ammette la proseguibilità dell'azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, iniziata contro un soggetto inizialmente in bonis e poi assoggettato a procedura concorsuale nelle more del giudizio di revoca (Cass., 14 ottobre 1963, n. 2746; Cass., 30 agosto 1994, n. 7583; Cass., 21 luglio 1998, n. 7119; Cass., 28 febbraio 2008, n. 5272; Cass., 19 marzo 2009, n. 6709; Cass., 27 ottobre 2015, n. 21810; Cass., 4 ottobre 2016, n. 19795. Del resto Cass. sez. Un. 17 dicembre 2008, n. 29421 aveva affermato: "che sia consentito al curatore proseguire il giudizio intrapreso prima del fallimento dal singolo creditore, subentrando nella posizione processuale di costui, è affermazione sulla quale... non vi è alcun contrasto nella giurisprudenza".
      b- che l'indirizzo secondo cui "non è ammissibile un'azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento" (Cass., 12 maggio 2011, n. 10486: Cass., 8 marzo 2012, n. 3672) non è condivisibile, per cui ha rimesso la questione la Primo presidente per essere sottoposta alle sezioni unite.
      Poiché nella specie da lei segnalata si verte nella ipotesi sub a) di fallimento del convenuto in revocatoria dopo la instaurazione del giudizio revocatorio, non interessano le vicende aperte dalla rimessione della causa al primo Presidente e si può muovere dalla consolidata affermazione che il processo revocatorio è regolare, per valutare che succede in caso di accoglimento della domanda.
      Secondo l'insegnamento della giurisprudenza della Cassazione, l'esercizio vittorioso dell'azione revocatoria produce effetto retroattivo e l'atto che è stato revocato, pur intrinsecamente valido, perde il suo effetto fin dalla trascrizione della domanda, per cui il vittorioso esperimento di un'azione revocatoria fallimentare o ordinaria non è idoneo a determinare alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente, comportando soltanto la declaratoria di inefficacia (relativa) dell'atto rispetto al creditore che agisce in giudizio, e rendendo, conseguentemente, il bene trasferito assoggettabile ad azioni esecutive, senza in alcun modo caducare, ad ogni altro effetto, l'avvenuta alienazione in capo all'acquirente. Quando però vittorioso in revocatoria è un a procedura fallimentare, il vittorioso esperimento della revocatoria produce anche un effetto restitutorio, nel senso che la restituzione del bene alla massa non realizza una vicenda traslativa, in particolare rappresentata dal suo riacquisto al patrimonio del fallito, ma piuttosto una funzione ripristinatoria della garanzia generica prevista dall'art. 2740 c.c., con il recupero del bene al patrimonio responsabile, che si rende necessaria nella revocatoria (fallimentare o ordinaria) esercitata dal curatore in quanto questa costituisce un mezzo straordinario di reintegrazione della responsabilità patrimoniale di un imprenditore commerciale fallito, illimitata ed a favore della massa dei creditori concorrenti.
      In sostanza a seguito del vittorioso esperimento della revocatoria fallimentare o ordinaria della compravendita, la proprietà del bene oggetto del contratto revocato rimane in capo all'acquirente e il curatore ha il diritto di ottenere la restituzione del bene per consentire alla massa di soddisfarsi sullo stesso.
      Questo per quanto riguarda la parte vittoriosa fallita che ha esercitato l'azione, ma nel caso è fallito anche il convenuto soccombente in corso di causa e la giurisprudenza che ammette la prosecuzione della causa revocatoria nei confronti del convenuto dichiarato fallito (richiamata sub a), ha avuto anche risolto il conflitto ravvisabile tra l'art. 24 l.f. e l'art. 52 l.f. (per il quale, aperto il fallimento, ogni credito deve essere accertato secondo le norme previste per la insinuazione e la verificazione dello stato passivo) deve essere risolto nel senso che, mentre il tribunale che ha dichiarato il fallimento resta competente a decidere circa la inefficacia (o meno) dell'atto, le pronunzie consequenziali alla dichiarazione di inefficacia competono al tribunale che ha dichiarato il fallimento del terzo, secondo le modalità stabilite per l'accertamento del passivo.
      Alla luce di tali principi, quindi, il fallimento della società X venditrice può continuare il giudizio revocatorio neui confronti del fallimento Y e, in caso di vittoria, dovrà insinuarsi al passivo di quest'ultimo per chidere la restituzione del bene oggetto del contratto revocato per poterlo sottoporre ad esecuzione nel proprio fallimento.
      La eventuale declaratoria di inefficacia è opponibile anche al conduttore in quanto la locazione è stata stipulata dal curatore del fallimento Y dopo la trascrizione della domanda revocatoria, data alla quale risalgono gli effetti della inefficacia.
      Zucchetti SG srl
    • Claudio Colonni

      Città di Castello (PG)
      11/12/2018 10:00

      RE: Revocatoria tra fallimenti

      Buongiorno a tutti, se interessa, sull'argomento è intervenuta la recentissima Sentenza 23 novembre 2018 n. 30416 a Sezioni Unite della S.C. di Cassazione che ritiene inammissibile l'azione revocatoria nei confronti di un fallimento.
      • Zucchetti SG

        Vicenza
        11/12/2018 19:25

        RE: RE: Revocatoria tra fallimenti

        Grazie della segnalazione. Nella risposta che precede noi abbiamo parlato di Cass. 25/01/2018, n. 1894 perché questa aveva ribadito il principio che ammette la proseguibilità dell'azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, iniziata contro un soggetto inizialmente in bonis e poi assoggettato a procedura concorsuale nelle more del giudizio di revoca, che era il caso che interessava.
        La stessa Corte aveva poi sollecitato l'intervento delle sezioni unite non condividendo l'indirizzo secondo cui "non è ammissibile un'azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento", affermata dalla stessa Corte. Le Sezioni Unite con la recente sentenza 23/11/2018, n.30416 ha risolto la questione affermando che "Non è ammissibile un'azione revocatoria, non solo fallimentare ma neppure ordinaria, nei confronti di un fallimento, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo delle predette azioni; il patrimonio del fallito è, infatti, insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poiché l'effetto giuridico favorevole all'attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l'azione sia stata esperita dopo l'apertura della procedura stessa".
        Zucchetti SG srl
        • Giorgio Cipriani

          ROVERETO (TN)
          23/01/2023 11:16

          RE: RE: RE: Revocatoria tra fallimenti; REVOCATORIA TRA FALLIMENTO E CONCORDATO PREVENTIVO E SUCCESIVO FALLIMENTO

          Buongiorno
          considerato che secondo l'art. 169 L.F. al concordato preventivo si applicano le norme del fallimento, ed in particolare anche l'art. 55 L.F. (effetti del fallimento sui debiti pecuniari) pare che per la società fallita A in data 23/01/2023 non sia ammissibile promuovere azione revocatoria nei confronti della società B in concordato preventivo con ricorso presentato con riserva il 31/03/2022, ammessa il 10/11/2022, e al 23/01/2023 non ancora omologato. Questo perchè varrebbe " il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso".
          Tuttavia, qualora il concordato preventivo non venisse omologato, la società tornerebbe in "bonis" e quindi assoggettabile a revocatoria, a meno che non intervenga la dichiarazione di fallimento senza soluzione di continuità.
          Ringrazio del chiarimento e porgo un cordiale saluto
          Giorgio Cipriani - Rovereto (TN)
          • Zucchetti SG

            Vicenza
            23/01/2023 18:21

            RE: RE: RE: RE: Revocatoria tra fallimenti; REVOCATORIA TRA FALLIMENTO E CONCORDATO PREVENTIVO E SUCCESIVO FALLIMENTO

            Questione complessa che si riallaccia alle risposte precedenti. In queste, risalenti al 2018, si dava atto della giurisprudenza all'epoca esistente, ma nel frattempo, sulla questione della revocatoria tra fallimenti sono nuovamente intervenute le sezioni unite (Cas. Sez. un. 24/06/2020, n. 12476), che ha statuito che "ove l'azione costitutiva non sia stata dai creditori dell'alienante introdotta prima del fallimento dell'acquirente del bene che ne costituisce oggetto, essa stante l'intangibilità dell'asse fallimentare in base a titoli formati dopo il fallimento (cd. cristallizzazione) - non può essere esperita con la finalità di recuperare il bene alienato alla propria esclusiva garanzia patrimoniale, poichè giustappunto si tratta di un'azione costitutiva che modifica ex post una situazione giuridica preesistente". Tesi che sopravvive anche nel nuovo codice benchè l'art. 290 CCII disponga che "Nei confronti delle imprese appartenenti al medesimo gruppo possono essere promosse dal curatore, sia nel caso di apertura di una procedura unitaria, sia nel caso di apertura di una pluralità di procedure, azioni dirette a conseguire la dichiarazione di inefficacia di atti e contratti posti in essere nei cinque anni antecedenti il deposito dell'istanza di liquidazione giudiziale, che abbiano avuto l'effetto di spostare risorse a favore di un'altra impresa del gruppo con pregiudizio dei creditori, fatto salvo il disposto dell'art. 2497 c.c., comma 1".Tale norma, infatti, disciplina in modo specifico l'insolvenza del gruppo societario in sè considerato e quindi non è tale da porsi come affermazione di un principio di carattere generale che sovverta le conclusioni cui la giurisprudenza è pervenuta.
            Nella specie, tuttavia si tratta di una azione revocatoria da esercitare nei confronti di impresa non assoggettata al fallimento o a liquidazione giudiziale, ma a concordato preventivo, non ancora omologato, per cui non vige il principio della cristallizzazione, operando in tale procedura il c.d. spossessamento attenuato in quanto, sia per la legge fallimentare (art. 167) che per il CCII (art. 94) il debitore conserva la disponibilità del proprio patrimonio e la gestione dell'impresa, ma sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Teoricamente, quindi, sarebbe ammissibile una azione revocatoria nei confronti di impresa in concordato, ma qui entrano in ballo alcune considerazioni svolte dalle sezioni unite nella citata decisione, che riprendono principi consolidati, tra cui quella che oggetto della domanda di revocatoria (ordinaria o fallimentare) non è il bene in sè, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori mediante l'assoggettabilità del bene a esecuzione, nel senso che il terzo acquirente del bene oggetto dell'atto impugnato con l'azione revocatoria, pur continuando a mantenere inalterato il diritto di proprietà, resta esposto alle ragioni esecutive del creditore; il che significa che l'azione revocatoria è strumentale all'esercizio dell'esecuzione sul bene oggetto del contratto revocato.
            L'ulteriore sviluppo di questa considerazione è che l'azione esecutiva non può essere esercitata neanche nei confronti di una impresa in concordato per il divieto posto dall'art. 168 l. fall. che trova applicazione nella specie per la impresa B, risalendo la domanda iniziale al marzo 2022, per cui non vi è necessità di indagare se il debitore abbia fatto richiesta di misure protettive e queste siano state confermate, come previsto dagli artt. 54 e 55 CCII. Non potendo il creditore vittorioso in revocatoria esercitare l'azione esecutiva deve dedursi che la domanda stessa di revocatoria, astrattamente ammissibile, sia invece inammissibile per mancanza di interesse (in tal senso Trib. Vicenza 11/05/2016).
            Questo, tuttavia, non significa lasciare l'alienante senza tutela perché come hanno stabilito ancora le sezioni unite citate che, poiché il bene dismesso con l'atto revocando viene in considerazione, rispetto all'interesse dei creditori dell'alienante, soltanto per il suo valore, "i creditori dell'alienante (e per essi il curatore fallimentare ove l'alienante sia fallito) restano tutelati nella garanzia patrimoniale generica dalle regole del concorso, nel senso che possono insinuarsi al passivo del fallimento dell'acquirente per il valore del bene oggetto dell'atto di disposizione astrattamente revocabile, demandando al giudice delegato di quel fallimento anche la delibazione della pregiudiziale costitutiva". Posto che nel concordato non esiste un giudizio di verifica, il fallimento A potrebbe chiedere che gli sia riconosciuto il credito per il valore, da pagare secondo la percentuale promessa agli altri creditori chirografari, e se la domanda non viene accolta è necessario proporre giudizio ordinario ove l'accertamento della inefficacia costituisce non l'oggetto della decisione, ma il presupposto indispensabile per il riconoscimento del credito.
            Zucchetti SG Srl