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Progetto di distribuzione e spese pignoramento "integrativo"

  • Luigi Mario Meazza

    LODI VECCHIO (LO)
    11/06/2019 12:12

    Progetto di distribuzione e spese pignoramento "integrativo"

    Buongiorno

    Nell'ambito di una causa penale, un soggetto persona fisica si vedeva riconoscere un risarcimento danni per euro 50.000,00. Dinnanzi al mancato pagamento di quanto fissato dal Giudice, il creditore procedente agiva esecutivamente nei confronti dell'unico immobile del debitore, posseduto dallo stesso a titolo di proprietà, in comunione legale con il coniuge (non esecutato). L'atto di pignoramento, preciso, non veniva notificato al coniuge non esecutato, bensì al solo debitore: il pignoramento, però, veniva trascritto a pochi mesi dalla nota sentenza Cass. n. 6575 del 14.03.2013, collocandosi, quindi, in quel periodo di transizione col quale i tribunali dell'epoca dovettero necessariamente confrontarsi. A tal riguardo, il Giudice dell'Esecuzione, con ordinanza, poneva a carico del creditore procedente l'onere di notificare nuovo pignoramento ad entrambi i coniugi, disponendo solo a seguito di tale "integrazione" la vendita coattiva del bene. Nel frattempo, il debitore, ricorso in appello, vedeva ridurre ad euro 20.000,00 la sanzione pecuniaria da corrispondere al proprio creditore.
    Ciò premesso, in sede di redazione del progetto di distribuzione, il creditore procedente (che, faccio presente, non è l'unico creditore intervenuto nella procedura) deposita nota di precisazione del credito con la quale chiede vengano collocate al privilegio ex art. 2770 c.c. una serie di spese direttamente connesse alla procedura. Tra queste spese figurano:
    • Le spese vive per la trascrizione del secondo pignoramento, nonché il contributo unificato per la conseguente iscrizione a ruolo;
    • Le spese del proprio legale (da liquidare), integranti due volte l'onorario per la fase introduttiva (una per il primo pignoramento, calcolato sul valore precettato di euro 50.000,00, l'altra per il secondo pignoramento, calcolata sul valore del credito ridotto in appello, pari ad euro 20.000,00), nonché l'onorario per la fase di trattazione (calcolato sul valore di euro 20.000,00). Tali spese, in conclusione, vengono quantificate in: euro 1.000,00 + euro 650,00 + euro 430,00 = 2.080,00, oltre 15% per spese generali, contributo integrativo e IVA.
    Posto che sono solito escludere il privilegio ex art. 2770 c.c. a tutte le spese connesse ai pignoramenti successivi al primo (in quanto non utili per la collettività dei creditori), qui mi trovo di fronte ad oneri che sono di effettivo ed incontestabile interesse per la procedura (in assenza del secondo pignoramento, non sarebbe stato possibile vendere l'immobile) e, quindi, propenderei per accogliere la richiesta del creditore. Potrei, casomai, escludere dal privilegio le spese relative al primo pignoramento (quello, effettivamente, inutile), tuttavia il fatto che esso sia stato notificato a pochi mesi di distanza dalla richiamata sentenza n. 6575 del 14.03.2013 lascia non pochi dubbi.
    Per quanto riguarda l'onorario dell'avvocato, alla cui liquidazione si procede all'interno del progetto di distribuzione (che sarà poi vistato dal G.E.), sono francamente indeciso se limitarmi a riconoscere la sola fase introduttiva riferita al primo pignoramento (calcolata sul valore del precetto o sul valore ridotto in appello?) o se liquidare anche la fase introduttiva riferita al secondo pignoramento (applicando, però, le tariffe minime), alla cui notifica si è proceduto su disposizione del G.E..

    Vi ringrazio per l'attenzione
    • Zucchetti SG

      14/06/2019 07:01

      RE: Progetto di distribuzione e spese pignoramento "integrativo"

      A nostro avviso per rispondere alla domanda occorre una preliminare ricostruzione degli approdi cui è giunta la Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 6575 del 14 marzo 2013. Si tratta della pronuncia che per la prima volta è intervenuta ex professo sulla questione della disciplina cui soggiace il pignoramento dei beni della comunione legale tra i coniugi eseguito dal creditore particolare di uno di essi.
      La Corte muove, facendola propria, dalla premessa giurisprudenziale assolutamente prevalente secondo cui la comunione dei beni nascente dal matrimonio è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei, trattandosi di comunione finalizzata, a differenza della comunione ordinaria, non già alla tutela della proprietà individuale, ma piuttosto a quella della famiglia. Ricorda la Corte che detta comunione può sciogliersi nei soli casi previsti dalla legge ed è indisponibile da parte dei singoli coniugi i quali, tra l'altro, non possono scegliere quali beni farvi rientrare e quali no, ma solo mutare integralmente il regime patrimoniale con atti opponibili ai terzi mediante l'annotazione formale a margine dell'atto di matrimonio. La quota dunque non è un elemento strutturale della proprietà e nei rapporti coi terzi ciascuno dei coniugi, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune.
      Sulla scorta di questi postulati i giudici di legittimità escludono che al pignoramento dei beni della comunione sia applicabile la disciplina dell'espropriazione di quote, ed osservano che l'opzione ricostruttiva più coerente con siffatte premesse, e dalle conseguenze meno incongruenti, sia necessariamente quella di sottoporre, per il credito personale verso uno solo dei coniugi, il bene a pignoramento per l'intero (e sull'intero bene esso dovrà trascriversi), nei limiti dei diritti nascenti dalla comunione legale.
      Da tanto consegue, prosegue la sentenza, la messa in vendita o l'assegnazione del bene per intero, con diritto del coniuge non debitore ad ottenere il controvalore lordo del bene nel corso della stessa procedura esecutiva, neppure potendo a lui farsi carico delle spese di trasformazione in denaro del bene (cioè quelle della procedura medesima), rese necessarie per il solo fatto del coniuge debitore che non ha adempiuto i suoi debiti personali.
      In questa procedura esecutiva il coniuge non debitore assume la veste di soggetto passivo del giudizio in executivis: tale sua condizione imporrà la notificazione anche al coniuge non debitore del pignoramento, come pure l'applicazione al medesimo dell'art. 498 e dell'art. 567 c.p.c., vale a dire la necessità dell'avviso ai suoi creditori iscritti personali e della documentazione c.d. ipotecaria almeno ventennale a lui relativa, al fine di non pregiudicare diritti di terzi validamente costituiti anche da lui sul medesimo bene.
      Dall'indirizzo espresso della surrichiamata pronuncia, si ricavano le seguenti enunciazioni procedurali:
      • Il bene facente parte della comunione legale dei beni dovrà essere pignorato per l'intero anche quando ad agire è il creditore particolare del coniuge.
      • Il pignoramento deve essere notificato anche al coniuge non debitore poiché costui assume la posizione di parte processuale pur non essendo personalmente obbligato.
      • La documentazione ipocatastale depositata ai sensi dell'art. 567 dovrà riguardare entrambi i coniugi al fine di verificare se anche il coniuge non debitore abbia posto in essere atti dispositivi del bene pignorato.
      • Dovrà essere notificato l'avviso di cui all'art. 498 c.p.c. anche ai creditori particolari del coniuge non obbligato.
      • Occorrerà verificare che nella perizia di stima sia dato conto anche dei gravami (ipoteche, pignoramenti, domande giudiziali ecc. trascritte contro il coniuge del debitore).
      • Con il decreto di trasferimento dovranno essere cancellate anche le ipoteche eventualmente iscritte contro il coniuge non obbligato.
      • Il 50% del ricavato dalla vendita dovrà essere corrisposto al coniuge non obbligato senza portare in prededuzione le spese della procedura, che dunque graveranno integralmente sul restante 50%.
      • Per concorrere alla distribuzione del ricavato il coniuge non obbligato non è onerato dalla necessità di spiegare un intervento, trovando applicazione l'art. 510, ultimo comma, c.p.c., che come sappiamo riconosce al debitore quanto sopravanza dalla distribuzione del ricavato.
      Queste premesse consentono di rispondere al quesito formulato.
      Quanto alle spese di trascrizione ed iscrizione a ruolo del primo pignoramento, riteniamo che a rigore esse andrebbero escluse dal privilegio di cui all'art. 2770 c.c., poiché inutili alla massa dei creditori; potrebbe invece riconoscersi un compenso per la fase introduttiva del primo pignoramento, poiché esso si è sostanziato nello svolgimento di alcune attività comunque utili alla massa, quali la notifica dell'atto al coniuge obbligato ed il deposito della documentazione ipocatastale ad egli riferibile, che il creditore deve compiere comunque nei confronti di entrambi i coniugi. Detto compenso potrebbe essere parametrato ai valori minimi perché le altre attività della fase introduttiva (e segnatamente trascrizione del pignoramento ed iscrizione a ruolo) sono state inutili.
      Anche per il compenso relativo al secondo pignoramento valgono le medesime considerazioni. Esso si è sostanziato nello svolgimento di attività tutte utili alla massa, che però non hanno necessitato lo svolgimento di alcuni adempimenti normalmente necessari (la notifica dell'atto di pignoramento al coniuge obbligato e la ricerca della documentazione ipocatastale a lui riferibile) poiché già compiuti in forza del primo pignoramento, sicché anche in questo caso si giustifica, a nostro avviso, una quantificazione ai valori minimi.
      Quanto alla fase della trattazione, siamo invece dell'avviso per cui certamente va riconosciuta una sola volta, poiché il secondo pignoramento viene unito al primo per far parte della medesima procedura, per cui non si giustifica affatto una duplicazione di compenso.