Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - PASSIVO E RIVENDICHE

Attività non autorizzata ex art. 46 L.F. e adempimenti contabili e fiscali

  • Vaifro Calvetti

    Darfo Boario Terme (BS)
    30/09/2022 15:06

    Attività non autorizzata ex art. 46 L.F. e adempimenti contabili e fiscali

    Buongiorno,

    ho ricevuto incarico di curatore di una ditta individuale. Il fallito non ha presentato istanza di autorizzazione allo svolgimento di un'attività economica necessaria per il mantenimento proprio e della propria famiglia, a norma dell'art. 46 L.F.
    Nel frattempo, avendo accesso alla piattaforma "Fatture e Corrispettivi" all'interno dell'area riservata dell'Agenzia delle Entrate della ditta fallita, continuo a rinvenire fatture elettroniche sia emesse che di acquisto. In data successiva al fallimento, il fallito ha inoltre aperto un conto corrente sul quale vengono incassate le fatture emesse di cui sopra. Ho richiesto alla banca l'estinzione immediata del rapporto bancario e la messa a disposizione della procedura fallimentare del saldo attivo del conto corrente.
    Ho provveduto in più occasioni ad ammonire il fallito circa l'utilizzo improprio dei dati fiscali appartenenti alla ditta fallita, invitandolo assolutamente ad astenersi dall'effettuazione di operazioni tramite i dati fiscali della stessa. Ho inoltre informato il Giudice Delegato di quanto sta accadendo, depositando integrazione alla relazione ex art. 33 c. 1 L.F., che sono state secretate.

    Trattandosi di una attività non autorizzata ex art. 46 L.F., dal punto di vista degli adempimenti contabili e fiscali, devo rilevare sia le fatture emesse che quelle di acquisto (quest'ultime con IVA indetraibile) in appositi sezionali dei Registri IVA? In caso affermativo, devo far confluire gli importi nelle liquidazioni periodiche IVA, nelle LIPE e nella dichiarazione IVA?

    Ringrazio in anticipo per la disponibilità.
    Distinti saluti.

    Vaifro Calvetti
    • Stefano Andreani - Firenze
      Luca Corvi - Como

      17/10/2022 15:27

      RE: Attività non autorizzata ex art. 46 L.F. e adempimenti contabili e fiscali

      Quella della prosecuzione (o avvio) di attività di impresa o lavoro autonomo da parte del fallito è questione che, dopo la riforma del 2006 che ne ha consentito la possibilità, si ripropone periodicamente in questo Forum; approfittiamo quindi di questa domanda per tentarne un inquadramento generale.


      a) Il quadro normativo
      Ogni valutazione in merito non può che partire dalle disposizioni del Capo III, Sezione I, della legge fallimentare, rubricata "Degli effetti del fallimento per il fallito", e segnatamente degli artt. 42, 46 e 44 l.fall., alla luce dell'unica fonte giurisprudenziale che abbiamo reperito in materia, la sentenza della Corte di Cassazione n. 26201 del 19/12/2016.

      Dall'esame degli articoli citati sopra rileviamo in primo luogo che non esiste alcuna disposizione che vieti al fallito di proseguire la propria attività né di aprire un nuovo c/c, se la banca lo consente (per questo, incidentalmente, non siamo del tutto certi che il Curatore, una volta acquisito il saldo attivo, ne potesse chiederne l'estinzione ...).

      Ciò premesso, passando all'esame delle singole norme, l'art. 46 stabilisce che:
      "Non sono compresi nel fallimento: ... 2) gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia"
      pertanto ammette ci pare con sufficiente chiarezza che il fallito possa continuare a percepire assegni alimentari, stipendi ... e proventi della sua attività.

      Tale disposizione va coordinata con quanto stabilito dall'art. 42, a norma del quale:
      "La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento [ma non, in liea di principio, della possibilità di proseguire l'attività e conseguire quindi beni ulteriori, n.d.a.].
      Sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi".

      Riteniamo quindi che dal combinato disposto di tali norme si possa desumere quanto segue:

      - con il fallimento l'imprenditore è privato della disponibilità dei propri beni (compresi gli strumenti per lo svolgimento della propria attività) ma non della capacità di agire e di proseguire l'attività di impresa (come, senza alcun dubbio, quella di lavoro dipendente), qualora ciò sia possibile senza la strumentazione acquisita al fallimento

      - i proventi dell'attività svolta successivamente al fallimento sono acquisiti alla procedura, salvo quanto ll Giudice Delegato lo autorizzi a trattenere "per il mantenimento suo e della famiglia".

      Tutto ciò, coordinandolo con il disposto dell'art. 44, che recita:

      - al primo comma: "Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori"

      - e al terzo: "Fermo quanto previsto dall'articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma"


      b) Il problema delle passività
      Il primo problema che emerge (dando per pacifico, anche in forza del richiamo espresso nel terzo comma dell'art. 44, che le "utilità" menzionate in esso corrispondano ai "beni" indicati al secondo comma dell'art. 42), è quali siano e come possano essere gestite "le passività incontrate per l'acquisto dei medesimi".

      Tale individuazione è infatti relativamente facile nel caso "classico" di eredità, ma diviene estremamente complessa nel caso di prosecuzione di attività di impresa o lavoro autonomo, perché "incontrate" non può certo significare che vadano dedotte solo le passività già pagate (per tornare all'esempio classico menzionato sopra, non potrà acquisire l'eredità senza sostenere le relative imposte di successione, anche se ancora da pagare) e quindi dovranno essere considerate anche le passività non ancora pagate (che fra l'altro ben potrebbero almeno in parte essere ignote al Curatore); fra esse c'è indubbiamente l'IVA a debito, e probabilmente anche le relative imposte dirette (soprattutto se, come è probabile nel caso in esame, il fallito è in regime forfetario e quindi le imposte dovute discendano automaticamente dai proventi dell'attività, che sono ben facilmente identificabili).

      Va poi tenuto conto del fatto che mentre l'inefficacia di cui al primo comma dell'art. 44 può essere o non essere fatta valere dal Curatore, l'acquisizione di cui al terzo comma è indipendente da tale inefficacia, e discende direttamente e inevitabilmente dall'esistenza di attività sopravvenute, fatta salva la previsione del terzo comma sempre dell'art. 42. "Il Curatore ... può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi".

      Di conseguenza riteniamo che (salvo quanto diremo più avanti) il Curatore non possa che tenere un conto separato di ricavi e costi derivanti dall'attività svolta dal fallito, acquisendo i ricavi e pagando tali costi fin quando vi sono attività disponibili, e quando il saldo dovesse divenire negativo possa rinunciare all'acquisizione.


      c) La sentenza Cass. 26201/2016
      Tale sentenza nasce dal ricorso di un fallito contro il provvedimento del Giudice Delegato che aveva disposto "l'acquisizione alla massa fallimentare dell'intero corrispettivo spettante ad esso ricorrente per la sua attività di lavoro a progetto presso terzi" in mancanza di una sua istanza ex art, 46 l.fall.

      Essa evidenzia nell'art. 46 l.fall. due espetti che non emergono con immediatezza ma sono di notevole importanza:

      - da un lato afferma che "la lettera stessa, oltre alla ratio, di detta norma non dovrebbe comunque consentire l'acquisizione alla procedura della integralità delle somme rivenienti al fallito dalla sua attività lavorativa"

      - dall'altro, che "L'art. 46, n. 2, l.fall. non prevede la necessità di alcuna istanza da parte del fallito, bensì delimita il perimetro dei beni non compresi nel fallimento, affidandone la concreta determinazione … alla discrezionalità del Giudice Delegato, che dunque dovrebbe ritenersi investito già con la sola richiesta del Curatore della necessità di compiere tale valutazione".

      Il primo principio introduce un elemento di indeterminatezza, collocando il dettato dell'art. 46 ("Non sono compresi nel fallimento … ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti … fissati con decreto motivato del giudice delegato") come limite a quanto stabilito dal citato secondo comma dell'art. 42 ("sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura").

      E se il decreto non c'è perché il fallito non ha fatto alcuna istanza? La risposta la fornisce il secondo principio: l'impulso al provvedimento del Giudice Delegato può venire dall'iniziativa del Curatore.


      d) La soluzione che proponiamo, sulla base dalla sentenza
      Per risolvere le complesse problematiche emerse nel caso in esame, delle quali la contabilizzazione delle fatture e la compilazione delle LiPe solo la punta dell'iceberg, riteniamo che il Curatore possa procedere come segue:

      - interpretare in senso estensivo il termine "limiti" contenuto nell'articolo 46, ovvero non solo limiti quantitativi, ma anche procedurali

      - presentare istanza al Giudice Delegato affinché non solo fissi un limite quantitativo, ma detti anche una procedura per consentirgli di sorvegliare l'attività dal fallito, provvedere all'incasso delle attività e al pagamento delle passività, gestire la fatturazione, e così via.

      Non vediamo peraltro problemi a che tale procedura, nei limiti in cui ciò sia possibile, regolamenti anche il passato, riempiendo il vuoto creatosi e consentendo di sanare/riorganizzare anche l'accaduto.

      Una volta stabilito dal Giudice il set di regole da seguire, il Curatore potrà non più "invitare" il fallito a un certo comportamento, ma ammonirlo delle conseguenze, anche sul piano penale, del mancato rispetto delle stesse. In sostanza, se vuole proseguire l'attività potrà farlo solo rispettando tali disposizioni, in difetto, dovrà cessarla immediatamente.

      E nel decreto del Giudice sarà anche stabilito come comportarsi relativamente alle fatture relative all'attività proseguita dal fallito, stabilendo se dovrà emetterle lui o il Curatore, chi dovrà effettuare gli incassi e i pagamenti (compreso il versamento dell'IVA), chi dovrà presentare le LiPe, e così via.

      Per il passato potrà stabilire, p.es., che il Curatore tenga conto del debito IVA che emerga dalle fatture emesse e versi l'imposta con i fondi presenti sul c/c aperto dal fallito.