Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - LA LEGGE FALLIMENTARE

Fitto di fondo rustico che si rinnovato automaticamente - Canone vile

  • Tommaso Bartiromo

    Nocera Superiore (SA)
    30/12/2022 12:00

    Fitto di fondo rustico che si rinnovato automaticamente - Canone vile

    Buona sera,
    Cortesemente vorrei chiedere il Vs parere sulla questione che espongo e che, in qualità di Curatore fallimentare, mi trovo ad affrontare.
    A seguito di azione revocatoria ex art. 67 lf vittoriosamente esperita ( dopo un lungo contenzioso che tra 1° e 2° grado è durato più di 10 anni) vi è l'esigenza per il Fallimento di procedere alla liquidazione del compendio immobiliare la cui precedente vendita è stata per l'appunto dichiarata inefficace nei confronti della procedura.
    Tra i beni immobili da liquidare rientrano anche dei terreni agricoli da anni concessi in fitto a mezzo di contratto cumulativo di fitto di fondo rustico/terreni agricoli registrato nel 2005, (stipulato prima del Fallimento della società di cui lo scrivente è Curatore).
    L'impresa agricola conduttrice, in pendenza dell'azione giudiziaria ex art. 67 lf ha sempre provveduto autonomamente di propria iniziativa alla registrazione cumulativa del contratto di fitto di fondo rustico indicando come durata del contratto quella di 6 anni (l'ultima scadenza del fitto era indicata nella scheda di registrazione all'Agenzia delle Entrate per il 10.11.2020) riportando nel modulo di registrazione del contratto come locatrice i dati originari della precedente società proprietaria dei fondi.
    Poichè alla data di scadenza del fitto ( 10/11/2020) era ancora pendente il giudizio di revocatoria fallimentare non venne intimata alcuna disdetta per cui il fitto di fondo rustico si è rinnovato automaticamente.

    Ciò premesso, a questo punto che pongo il primo quesito sulla nuova durata del contratto di fitto tacitamente rinnovato
    Evidenziato che dalla predetta data dell'ultima scadenza ( 10/11/2020) la conduttrice. a differenza di quanto fatto in passato, non ha provveduto ad alcuna registrazione del contratto di fitto , mi chiedo se il rinnovo automatico comporta che la durata del fitto di fondo rustico sarà di altri 6 anni ( fino al 10/11/2026) oppure se la durata sarà quella ordinaria prevista dalla Legge agraria n. 3 maggio 1982, n. 203 che è di 15 anni.
    Occorre, precisare, infatti, che, sebbene nel modulo di registrazione del contratto di fitto, sottoscritto e compilato dalla conduttrice, sia stata prevista ( dalla stessa impresa agricola conduttrice) una durata del fitto di 6 anni, in realtà lo scrivente Curatore non è a conoscenza se il contratto di fitto originario ( stipulato 20 anni fa e non in possesso della Curatela) venne concluso con l'assistenza di organizzazioni professionali agricole (condizione che permette di prevedere per i contratti di fitto di fondo rustico una durata inferiore del fitto rispetto a quello ordinaria di 15 anni.
    Il dubbio è rilevante in quanto è evidente che una cosa è se il contratto si è rinnovato automaticamente fino al novembre del 2026, altra cosa è se il contratto si è rinnovato tacitamente fino al 2035.
    Poichè, la conduttrice ( ripeto utonomamente e di propria iniziativa) ha indicato nella precedente scheda di registrazione dell'atto all'Agenzai delle Entrate la durata di 6 anni ritengo che il contratto si sia rinnovato per analoga durata. Vorrei avere cortesemente il Vs parere in proposito.

    Sempre riguardo al contratto di fitto in questione, inoltre, vorrei formulare un'altra domanda.
    Al momento, la conduttrice è in regola con i pagamenti versando puntualmente il canone annuale.
    Senonchè lo scrivente ha appurato che il canone annuale pagato (nell'importo pattuito nel 2005 allorquando venne stipulato il contratto sebbene rivalutato in base agli indici istat ) è estremamente esiguo rispetto alle dimensioni dei terreni oggetto del contratto di fitto.
    M'è venuto, perciò, il dubbio che possa applicarsi nella fattispecie la norma di cui all'art. 2923 comma 3° cc secondo cui " In ogni caso l'acquirente non è tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni".
    Ho appurato che tale norma si applica anche nel caso di espropriazione forzata sancendo l'inopponibilità all'aggiudicatario in caso di vendita forzata del contratto di locazione nel quale è stato pattuito un canone vile
    "I contratti di locazione in essere al momento dell'aggiudicazione ed anche anteriori al pignoramento non sono opponibili nel caso si verifichi quanto previsto dall'art. 2923, III comma, c.c.: cioè quando "il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo rispetto al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni".
    Lo scopo di tale previsione è quello di tentare di evitare eventuali accordi in danno dell'acquirente (e di parete creditrice) tra la parte debitrice ed i terzi.

    La Corte di Cassazione ha recentemente precisato che: "La locazione "a canone vile" stipulata in data anteriore al pignoramento non è opponibile all'aggiudicatario ai sensi dell'art. 2923, comma 3, c.c. ed è inopponibile anche alla procedura o ai creditori che ad essa danno impulso, stante l'interesse pubblicistico al rituale sviluppo del processo esecutivo e, quindi, per un motivo di ordine pubblico processuale, il quale impone l'anticipazione degli effetti favorevoli dell'aggiudicazione e del Decreto di trasferimento, col peculiare regime di efficacia "ultra partes" di quest'ultimo: ne consegue che è pienamente legittima l'emanazione diretta, da parte del Giudice dell'esecuzione, dell'ordine di liberazione - con la successiva attuazione da parte del custode e senza che sia necessario munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva - avvalendosi delle stesse inopponibilità previste per l'aggiudicatario, potendo i vari soggetti coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento trovare tutela delle loro ragioni nelle forme dell'opposizione agli atti esecutivi" (Cassazione civile sez. III, 28/03/2022, n.9877).
    L'art. 2923, comma 3, c.c. considera la locazione a canone vile "automaticamente inopponibile ai terzi (aggiudicatario e creditori) senza necessità di esperire un giudizio di cognizione ordinario nell'ambito del quale dimostrare la sussistenza degli altri e più gravosi presupposti per la pronuncia ex art. 2901 c.c. La pattuizione di un canone incongruo comporta, infatti, di per sé la valutazione che le parti abbiano concluso un contratto pregiudizievole nella consapevolezza di arrecare un danno ai creditori del locatore: non occorre la statuizione del Giudice di cognizione né la dimostrazione di quale fosse in concreto lo stato soggettivo dei contraenti" (Tribunale Verona, 13/05/2020).
    Contro l'ordine di liberazione dell'immobile pignorato disposto dal Giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 560, comma 3, c.p.c., sul presupposto della non opponibilità del contratto stesso per essere il canone ritenuto inferiore di un terzo a quello giusto ai sensi dell'art. 2923 c.c., comma 3, è infatti proponibile l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c.

    Sulla base delle argomentazioni esposte, vorrei avere la conferma che il Giudice Delegato possa, una volta accertato tramite il Consulente stimatore della procedura che il canone è effettivamente vile, emettere l'ordine di liberazione nei confronti dell'impresa agricola conduttrice.
    • Zucchetti Software Giuridico srl

      Vicenza
      02/01/2023 12:10

      RE: Fitto di fondo rustico che si rinnovato automaticamente - Canone vile

      Come lei giustamente ricorda, a norma della legge l. 3 maggio 1982 n. 203, il contratto di affitto di un fondo rustico, stipulato tra il proprietario del fondo e un coltivatore diretto senza assistenza sindacale, ha una durata minima predeterminata alla legge pari a non meno di 15 anni (art. 1) e alla scadenza, il contratto si rinnova automaticamente di ulteriori quindici anni e così, parimenti, ad ogni successiva scadenza, di ulteriori periodi di quindici anni ciascuno, a meno che una delle parti non abbia comunicato all'altra formale disdetta (art. 4); salvo che non si tratti di affitto particellare di cui all'art. 3 della citata legge, per il quale è prevista una durata minima di sei anni.
      Ovviamente, se ricorre questa ultima fattispecie, il problema posto nel primo quesito non sussiste in quanto durata pattizia e durata legale coinciderebbero; se non ricorre questa ipotesi diventa determinante conoscere se l'originario contratto è stato stipulato con l'assistenza delle organizzazioni di categoria perché solo in tal caso può essere fissata una durata inferiore a quella legale, dato che le norme poste a tutela della posizione dell'affittuario, previste dalla L. n. 203 del 1982 , non sono inderogabili, ma possono essere superate da un diverso accordo delle parti, purché intervenuto con l'assistenza dei contraenti ad opera delle rispettive organizzazioni professionali maggiormente rappresentative a livello nazionale. Qualora, invece, un contratto di affitto agrario sia stipulato senza l'obbligatorio intervento delle organizzazioni professionali, lo stesso, ai sensi dell'art. 45 della legge 3 maggio 1982 n. 203, è colpito da nullità, ma tale nullità, secondo la costante interpretazione della Cassazione, "non travolge l'intero negozio, ma soltanto le clausole in contrasto con i precetti della legge n. 203 del 1982 citata, dai quali le clausole nulle vengono sostituite ex art. 1419, comma secondo, cod. civ." (in termini Cass. 01/12/1999, n. 13359; conf., tra tante Cass. Cass. 22/05/2001, n. 6956; Cass. 26/07/2001, n. 10220; Cass. 21/08/1997, n. n. 7822; ecc.).Ossia, il fatto che la clausola derogante la durata legale di tale negozio debba essere stipulata mediante l'assistenza dell'organizzazione di categoria incorrendo altrimenti in nullità, non incide sulla natura del diritto, ovvero non attesta l'indisponibilità del diritto, ma comporta che il contratto abbia la durata legale.
      Applicando questi principi alla fattispecie, ne deriva che se il contratto con durata di sei anni
      è stato stipulato secondo le regole, anche il rinnovo ha la stessa durata, nel mentre se non sono state rispettate le regole, alla pattuizione della durata di sei anni si è sostituita quella legale di quindi anni e il rinnovo ha questa durata. Trattandosi di materie specialistiche è preferibile comunque interpellare un esperto di diritto agrario.
      Quanto al secondo quesito, non vi è dubbio che ai sensi dell'art. 2923 c.c., comma 3, l'acquirente della cosa pignorata può liberarsi dall'obbligo di rispettare la locazione stipulata anteriormente al pignoramento ove dimostri che il canone locativo è inferiore di un terzo al giusto prezzo, oppure a quello risultante da precedenti locazioni 8alla giur. da lei citata, adde, Cass. 27/07/2022, n. 23508), ed è indubbio che la norma civilistica collocata nella disciplina degli effetti della espropriazione forzata sia applicabile a tutte le vendite coattive, comprese quelle fallimentari.
      Il problema è se il canone in questione possa essere considerato vile, tale da rientrare nel parametro fissato dalla norma dell'art. 2923 c.c., in quanto il canone per l'affitto di fondi rustici è soggetto ad equo canone, ma gli art. 9 e 62 della l. 3 maggio 1982 n. 203 ( rubricati rispettivamente, "Tabella per l'equo canone" e "Revisione degli estimi") sono stati dichiarati incostituzionali con sentenza della Corte costituzionale n. 318 del 2002, generando una situazione di stallo ancora irrisolta in quanto, pur essendo rimasto in vita l'istituto dell'equo canone, sono venuti completamente a mancare dei criteri per poterne calcolare l'ammontare.
      La Cassazione ha ritenuto che la caducazione delle disposizioni che fissavano un sistema di quantificazione del canone di equo affitto "non preclude al giudice la perdurante possibilità di addivenire, ove le parti non raggiungano un accordo sul punto, alla determinazione officiosa del corrispettivo, da effettuare, alla stregua della sopravvenuta pronuncia di illegittimità di quelle disposizioni, sulla base dell'applicazione analogica dell'art. 1474 comma 2 c.c., ovvero facendo riferimento al prezzo di mercato" (Cass. 22/03/2013, n.7268). Il ricorso a questo metodo probabilmente nel suo caso farebbe emergere la viltà del canone e autorizzerebbe il giudice delegato ad emettere il provvedimento di liberazione o, in ultima ipotesi, l'aggiudicatario ad agire esecutivamente per il rilascio sul titolo dell'avvenuto trasferimento. Tuttavia va anche considerato che la tesi della S. Corte non è l'unica in quanto si è anche detto che a seguito alla caducazione degli artt. 9 e 62, l. 3 Maggio 1982, n. 203, "si è venuto a creare un vuoto normativo in ordine al meccanismo di determinazione dell'equo canone d'affitto, non potendosi, alla stregua delle disposizioni normative sopravvissute, individuare alcun sistema di determinazione dell'equo canone alternativo a quello dichiarato illegittimo", per cui deve ritenersi essere tornata in vigore la disciplina provvisoria dettata dalle leggi 10 Maggio 1978, n. 176 e 23 Novembre 1979, n. 595 (App. Catania 23/02/2004). Inoltre, lo scopo della norma di cui all'art. 2923 c.c. è quello di evitare accordi nell'imminenza o in previsione di una esecuzione, individuale o collettiva; finalità che , nel caso, è del tutto assente vista l'epoca cui risale l'affitto.
      Questa considerazioni, a nostro avviso, danno spazio a più di qualche dubbio sulla possibilità per l'aggiudicatario di servirsi del disposto di cui al terzo comma dell'art. 2923 c.c..
      Zucchetti SG srl